QUALI INFORMAZIONI CI PUO’ FORNIRE LA CHIMICA URINARIA
Di Walter Bertazzolo & Francesco Dondi
La chimica urinaria fornisce una serie di “numeri” relativi a concentrazioni di numerosi analiti urinari, che per molti di noi possono assumere un significato oscuro (vedi screenshot a lato).
Con questo post cercheremo di chiarire il significato di questi analiti e di come poterli sfruttare nella pratica clinica. In particolare ci concentreremo sulla valutazione dell’escrezione degli elettroliti, mentre dedicheremo altri articoli agli altri analiti.
La quantità di analiti che viene escreta con le urine è il risultato della filtrazione glomerulare e del successivo riassorbimento di acqua e soluti nei tubuli renali e sono influenzati della quantità assunta con la dieta, dalla capacità di riassorbimento tubulare e dall’azione di ormoni regolatori (es. vasopressina, aldosterone, renina, ecc.). I reni modificano l’escrezione di acqua e soluti in base ai fabbisogni fisiologici, in modo da mantenere una omeostasi adatta alla vita.
Sebbene il metodo migliore per valutare l’escrezione di un qualsiasi soluto sarebbe la raccolta delle urine nelle 24h, a causa dei limiti pratici di questa procedura in ambito veterinario, sono stati sviluppati dei metodi alternativi (anche da campioni a spot e random) che possono comunque fornire una stima della perdita quotidiana di soluti per via urinaria. La chimica urinaria degli elettroliti fornisce sia i valori assoluti di concentrazione, sia le cosiddette Frazioni di Escrezione (Fe) di ogni soluto. Queste ultime sono un calcolo matematico semplice, che serve per confrontare l’escrezione di ogni singolo soluto con l’escrezione della creatinina. Dato che quest'ultima una volta filtrata dal glomerulo, non viene praticamente riassorbita o secreta in quantità significative a livello tubulare, rappresenta un buon termine di paragone. La Fe di un ipotetico soluto X, è il risultato del seguente calcolo:
FeX =[X urina] / [X plasma) x [Crea plasma] / [Crea urina]
Il dato finale viene può essere moltiplicato per 100 e quindi venir espresso in percentuale invece che come frazione di 1. È importante ricordare che questo calcolo, e quindi queste analisi di laboratorio, devono essere eseguiti da campioni di sangue e urine prelevate contestualmente nel paziente.
In questo modo, la Fe indica la frazione del soluto X che dopo essere stata filtrata dal glomerulo, viene escreta nelle urine. Se la Fe è <1 (o in termini percentuali <100%), significa che quel soluto ha un riassorbimento netto rispetto alla creatinina. Se invece la Fe è >1 (o maggiore di 100% in termini percentuali), significa che vi è una escrezione netta rispetto alla creatinina, e quindi che quel soluto viene anche secreto a livello tubulare . Più è bassa la Fe di un soluto, più significa che il rene sta preservando quel soluto dalla perdita urinaria.
In linea teorica, la chimica urinaria potrebbe essere utilizzata per aiutarci a comprendere le ragioni di numerose alterazioni elettrolitiche che incontriamo nella pratica quotidiana. Solo a titolo di esempio: se ho un paziente con ipopotassiemia causata da una perdita gastro-enterica, la risposta renale fisiologica dovrebbe essere quella di un recupero massivo di potassio; la chimica urinaria dovrebbe essere quindi caratterizzata da una bassa Fe di potassio. Viceversa se abbiamo un paziente con iperpotassiemia da cause non renali (es.: iatrogena), i reni dovrebbero rispondere eliminando molto più potassio e quindi la Fe di potassio in quell’animale dovrebbe essere aumentata.
Dobbiamo sottolineare però che il valore di Fe ha una significativa variabilità inter-individuale anche in condizioni normali, in quanto dipende da numerose condizioni fisiologiche, tra cui quantità di acqua assunta, dieta, distanza dal pasto, ecc. Pertanto, ottenere dei valori di riferimento delle Fe che abbiano un valore affidabile in senso assoluto è alquanto aleatorio
Le Fe sono utilizzate di routine in ambito di ricerca tossicologico/farmacologico per valutare possibili effetti nefropatici acuti post-esposizione ad un tossico o ad un farmaco. Purtroppo le stesse condizioni controllate e standardizzate che si possono realizzare in ricerca, sono ben lontane da quelle in cui vivono i nostri pazienti. Pertanto per anni, l’utilizzo prettamente clinico delle Fe degli elettroliti, è stato limitato. D’altra parte, studi recenti hanno mostrato che probabilmente la variabilità di questi risultati potrebbe essere minore di quello che pensiamo o abbiamo sempre pensato, soprattutto nel cane, e conseguentemente la chimica urinaria potrebbe trovare una possibile applicazione clinica in determinati setting.
Innanzitutto, sulla base delle conoscenze attuali, dobbiamo sottolineare che i valori di Fe hanno scarsa utilità clinica nella malattia renale cronica (anche se sono state valutate in alcuni studi sul metabolismo calcio e fosforo), nei casi in cui sia presente un diabete insipido o l’animale abbia subito trattamenti farmacologici e fluidoterapia.
Un recente studio ha mostrato l’utilità della misurazione degli elettroliti urinari in casi di sospetto morbo di Addison. In un animale in shock ipovolemico e disidratato, con tendenza all’iponatremia (es. per problemi primari gastroenterici), la risposta fisiologica attesa è una attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone con tendenza al risparmio renale di aldosterone e quindi riassorbimento idrico conseguente. Ciò condurrà ad una natriuresi molto ridotta (FeNa molto bassa). In caso di assenza di aldosterone (come per l’appunto nell’Addison), l’escrezione renale di sodio risulterà invece abnormalmente elevata e inappropriata (vedi figura a lato). Questo risultato deve spingerci a confermare il sospetto clinico mediante il test di stimolazione con ACTH.
In un altro recente studio sono stati confrontate le Fe degli elettroliti in cani con danno renale acuto (AKI) responsivo alla fluidoterapia intensiva (e quindi reversibile) con quelli con forme più gravi di AKI associato a danno renale intrinseco e con prognosi più sfavorevole. I cani con forma responsiva alla fluidoterapia mostravano valori di Fe degli elettroliti molto più bassi, indicando indirettamente una funzione di riassorbimento tubulare mantenuta, rispetto ai cani con AKI da danno renale intrinseco. Lo stesso studio ha indicato come la Fe di molti elettroliti potesse avere un ruolo prognostico in questi pazienti.
Anche se la letteratura al riguardo è scarsa, la chimica urinaria potrebbe essere utile, infine, nella diagnosi e nella caratterizzazione di altre tubulopatie primarie o secondarie del cane e del gatto (es.: sindrome di Fanconi, acidosi tubulari renali), che tuttavia sono estremamente rare nella pratica quotidiana.
Ulteriori studi futuri potrebbero mostrare nuove applicazioni cliniche delle Fe degli elettroliti, vi terremo aggiornati!
Per chi volesse approfondire gli argomenti trattati, vi invitiamo a consultare la seguente bibliografia.
Bibliografia
Lefebvre HP et al. Fractional excetion tests: a critical review of methods ad applications in domestic animals. Vet Clin Pathol 2008.
Lennon EM et al. Urine sodium concentrations are predictive of hypoadrenocorticismin hyponatraemic dogs: a retrospective study. J Small Anim Pract 2018
Troia R et al. Fractional excretion of electrolytes in volume responsive and intrinsic acute kidney injury in dogs: diagnostic and prognostic implications. JVIM 2018
Waldrop JE. Urinary electrolytes, solutes, and osmolality. Vet Clin North Am Small Anim 2008